La malattia di Mitchell

La malattia di Mitchell: storia e sintomi

La malattia di Mitchell è una malattia neurologica che prende il nome dal neurologo americano Silas Mitchell (1829-1914), che per primo descrisse la malattia nel 1864. Questa condizione è anche chiamata sindrome dolorosa regionale di tipo 1 (CRPS-1).

La malattia di Mitchell è una condizione rara che causa un forte dolore in un arto o in un'altra parte del corpo. Il dolore può essere così grave che i pazienti non riescono nemmeno a toccare la zona interessata. Inoltre, i pazienti affetti dalla malattia di Mitchell spesso presentano gonfiore, cambiamenti nel colore della pelle, aumento della sensibilità cutanea e disturbi del movimento e della coordinazione.

Le cause della malattia di Mitchell non sono del tutto chiare, ma di solito si sviluppa a seguito di lesioni, interventi chirurgici o infezioni. Molti pazienti iniziano a manifestare sintomi entro poche settimane o mesi dall’infortunio o dall’intervento chirurgico.

Per diagnosticare questa condizione vengono utilizzate numerose tecniche, tra cui raggi X, risonanza magnetica (MRI) ed elettromiografia (EMG). Tuttavia, diagnosticare la malattia di Mitchell può essere difficile perché i suoi sintomi possono assomigliare a quelli di altre malattie.

Il trattamento per la malattia di Mitchell può comportare una combinazione di metodi, tra cui analgesici, terapia fisica, psicoterapia e iniezioni di farmaci. In alcuni casi, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.

Sebbene la malattia di Mitchell sia una condizione rara, può avere un impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti. Pertanto, per ottenere i migliori risultati dal trattamento, è importante chiedere aiuto a specialisti qualificati nel campo della neurologia e della terapia del dolore.



Mitchell è nato in una famiglia metodista scozzese (membri della Chiesa presbiteriana). Il giovane stesso studiò medicina, si laureò alla facoltà di medicina dell'Università della Virginia, lavorò in cliniche a Londra e New York, quindi organizzò la propria compagnia medica. La sua ricerca era principalmente legata alla psichiatria e alla pratica psichiatrica. Grande fama gli portò anche la monografia “Dementia in Epilepsy” (nell'opera in inglese “Dementia praecox”, pubblicata nel 1903, scrisse per la prima volta ciò che Freud descrisse vent'anni dopo), dove propose una teoria della malattia, poi chiamata schizofrenia, in cui combinò teorie genetiche e socioculturali, attribuendo l'insorgenza della malattia all'ambiente e alle circostanze dello sviluppo biologico del paziente.

Nel 1877 pubblicò un libro sul tema dei disturbi amnestici, “Sull'origine della demenza”, che contribuì a svelare il fenomeno del prodromo e a coinvolgere i pazienti affetti da psicosi in ricerche approfondite. Nel libro, ha identificato come i problemi emotivi o i traumi del passato di una persona possono causare depressione e portare alla malattia. Mitchell ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo lavoro su questo argomento. Tra i suoi successi figurano l'introduzione del termine "schizofrenia", lo sviluppo della prima teoria moderna della personalità (accentuazione del carattere) e lo sviluppo della direzione filosofica "Studio della mente" ("Stu" - studium) - un termine del professore tedesco Wilhelm Reich – che trasformò la psichiatria clinica e lasciò un segno profondo nella medicina in generale. Il titolo suggerisce uno studio filosofico mirato e a lungo termine della malattia utilizzando un processo formale rigoroso e consente quindi una chiara connessione tra l’approccio filosofico ai disturbi mentali e la terapia diagnostica.

Reich raccomandava in particolare l'esame clinico degli aspetti alla base del disturbo, come i problemi psicologici del paziente, che possono determinarne la personalità, le reazioni e il comportamento. Raccomandava uno studio attivo del comportamento, che spiegò in un’intervista: “Meno comprendi la storia medica di un paziente o la biologia di un disturbo mentale, più diventi analitico”. Questa posizione divenne la base per affermare che la medicina cessa di essere intellettualmente individualistica e diventa una scienza universale.